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(eu) ropa - io abito qui this is my addres
Tipo di progetto
Performance - Illustrazione
Data
2012 - 2014
Luogo
Spagna, Slovenia, Germania, Olanda, Macedonia, Serbia, Uruguay, Italia
Sostegno
Compagnia Gruppo E Motion, Ministero di Cultura
IBERESCENA - Fondos de Ayuda para la creacion
Clean Clothes Campaign
Ropa limpia, Spagna
Kultivarnica, Slovenia
Festival Histeria, Slovenia
DANSLAB, Den Haag, Olanda
GÄNGEVIERTEL, Hamburgo, Germania
Kulter, Amsterdam, Olanda
ELECTA Creative arts, Italia
ESPACIO MATTA, Italia
Teatro Comunale di Anghiari, Italia
Residencias PAR, Uruguay

"IO ABITO QUI THIS IS MY ADDRESS MY DRESS ABITO NEL MIO ABITO I LIVE HERE IN EUROPA EU ROPA ESTA ES MI ROPA MA ROBE QUEM SOU EU ROPA YOU ROPA CHI SONO IO EUROPA WHAT WE WEAR WHERE WE ARE ROPA TRAS ROPA WORDS AFTER WORD EVERYTHING THAT COVERS MY SHAME OF BEING NAKED SHOULD WE NOT COVER WITH NUDITY THESE SHAMEFUL CLOTHES MA ROBE WE ROB LIFE MA ROBE WHERE I LIVE IS NOT NECESSARY MI ROPA EU ROPA NOT NECESSARY WORDS ARE NOT NECESSARY WE CAN BE NAKED WHO TOLD YOU WERE NAKED? "
Franco Sacchetti

EU-ROPA è un'indagine sugli abiti che utilizza le arti performative e la grafica come linguaggi.
Abiti che ci coprono e ci abbelliscono, ci danno identità e colore, mentre privano altre persone dei diritti umani fondamentali e impoveriscono l'ambiente con la loro produzione.

I vestiti sono soprattutto il motivo per cui ci mettiamo davanti a uno specchio, quindi il progetto “EU-ROPA” mira a metterci davanti a uno specchio a un livello più profondo; di fronte alla nostra condizione di cittadini occidentali, favorendo la riflessione sul nostro stile di vita; di fronte alla nostra condizione di esseri umani, poiché è molto significativo paragonare gli abiti che ricoprono il nostro corpo con il nostro corpo che ricopre la nostra anima come un abito permanente e tuttavia transitorio. E come gli abiti possono significare prigione o schiavitù per alcune persone, anche i nostri corpi possono essere una prigione per noi stessi, se non riusciamo a raggiungere la libertà.

Nell'aprile 2013 il crollo della fabbrica del Rana Plaza vicino a Dhaka, in Bangladesh, ha messo tutti noi di fronte al peggior disastro industriale mondiale dopo Bhopal, e il peggiore mai avvenuto nel settore dell'abbigliamento, con oltre 1100 vittime. Quello è stato solo l'ultimo di una lunga lista nera di incidenti e violazioni, che hanno coinvolto i più importanti brand mondiali, rivelando un sistema di sfruttamento delle risorse umane e naturali che è solo il lato B della nostra società occidentale. Non possiamo voltare la testa perché facciamo parte di questa società, e probabilmente tutti indossiamo – o probabilmente abbiamo indossato – degli abiti che sono il risultato di un’ingiustizia fondamentale. Non possiamo girare la testa perché la consapevolezza di ciò che indossiamo implica anche la consapevolezza di ciò che siamo, come individui o società, e di ciò che sembriamo.

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